martedì 12 gennaio 2010

Articolo su Avatar

Riporto un interessante articolo di Federico Pontiggia, pubblicato sul "Fatto Quotidiano" del 10 gennaio 2010.


RIVOLUZIONE GRANDE SCHERMO
NUOVO CINEMA AVATAR
Esce il film di James Cameron, all’avanguardia per gli effetti speciali mai visti prima

Segnatevi questa data: 18 dicembre 2009. E se vostro figlio vorrà fare (storia e critica del) cinema, confidatela pure a lui: la ritroverà sui libri, prima che poi. Il 18 dicembre 2009 è stata la data di uscita globale di Avatar, con qualche anticipazione e qualche sparuto ritardo, come per l’Italia, dove il nuovo film di James “Titanic ” Cameron arriverà con 20th Century Fox il 15 gennaio, in oltre 800 copie, meno della metà – purtroppo – in 3D. Una data da mandare a memoria, perché di Avatar, se non quanto, possiamo già dire come e perché rivoluziona per sempre il cinema come lo conosciamo. Concepito 15 anni fa e partorito solo ora, per i mezzi finalmente messi a disposizione dalla tecnologia, Avatar non solo riscrive, anzi sovrascrive, il genere fantascientifico, come puntualmente avvertito dalla critica Usa e plaudito da uno che se ne intende, Steven Spielberg, che l’ha salutato per impatto come un nuovo Guerre stellari, ma riaffeziona il pubblico al sogno del cinema, al sogno industriale della settima arte, perché fa venir voglia di sapere, prima di tutto, prima della storia stessa, come è stato realizzato, come tutto ciò sia stato (reso) possibile. Se doverosi ringraziamenti vanno portati a Peter Jackson e alla sua neozelandese Weta Digital, che ci ha messo più del solito zampino, il merito principale è “virtualmente” di Jim Cameron, che ha inventato la Virtual Camera per riprendere non gli attori nel Volume, il teatro vuoto in cui si muovono a uso e consumo della performance capture e della motion capture, bensì il prodotto (semi) finito, ovvero il loro alter ego (avatar, appunto) risultante dalle immagini CG (Computer Grafica) inviate dai computer posti sul perimetro del Volume. Nessuno l’aveva fatto prima, e non c’è bisogno di saperlo per comprenderlo: parleranno i vostri occhi. Non bastasse, è arrivata pure la Simul-Cam, per integrare in tempo reale personaggi e ambienti CG con le sequenze live-action (in carne e ossa, in poche parole) e vederli nella Fusion Camera, e poi… c’è il 3D. Che Cameron usa come se lo facesse da sempre, senza cedere a facili lusinghe – corpi e oggetti gettati in platea a fare “spettacolo” – per creare profondità di campo, che dal Quarto in poi fa appunto Potere cinematografico, e rendere attivo e “regista” lo spettatore, ponendo virtualmente la camera tra di noi, per inquadrare nuche e felci davanti a tutto come diaframma, ossia tangibile spia, scoperto accesso della nuova visione possibile. Se, a tal proposito, A Christmas Carol era un buon antipasto, Av a t a r è un pasto completo, che non ha bisogno di altre portate, condizione necessaria e (più che) sufficiente per chiedere, se non pretendere, dal cinema qualcosa di più, qualcosa di meglio. A partire da oggi. A partire da quel miliardo 135 milioni 383 mila e 289 dollari che dopo venti giorni di programmazione – certo, il 3D costa di più – mette Avatar in coda al solo Titanic dello stesso Cameron tra i maggiori incassi di sempre, dato che dovrebbe convincere a un altro cinema (è) possibile anche quello attento ai numeri e basta. Ancora, Avatar, che avrà come più serio candidato agli Oscar The Hurt Loc ker, il dramma antimilitaristico e fantascientifico – pure questo – dell’ex signora Cameron, Kathryn Bigelow, in una sfida (post)matrimoniale tutta da seguire, rimette il cinema al centro del nostro immaginario collettivo, riguadagnando un peso specifico che ha fatto sfidare a Barack Obama e figliolette i divieti, anzi i consigli, della censura stelle & strisce e ha fatto insorgere la destra Usa, refrattaria al messaggio semplicemente, non semplicisticamente, pacifista del film, che stigmatizza il bushista ricorso al “terrore contro il terrore”. Ebbene sì, Avatar ha anche una storia, nutrita innanzitutto di Storia del Cinema, alta e bassa in sinergia, come piace a un autore spettacolare come Cameron, vecchia e nuova: da Alice nel paese delle meraviglie, quando scopriamo il pianeta Pandora e ci batte il cuore, al Viaggio sulla luna di Méliès, addirittura passando per i Terminator di casa Cameron, fino a Robocop, Matrix, A.I., Star Wars, Stargate e ai coevi District 9 (fondamentale, per il ribaltamento del Noi e Loro) e Il mondo dei replicanti, per approdare all’inestinguibile tenerezza di E. T. . Perché la science-fiction di Cameron – che prossimamente prenderà da Asimov, darà un sequel ad Avataro racconterà una Hiroshima inedita, o tutte e tre le cose – è umana, irrimediabilmente umana, nella misura più alta, più piena, quella della gratuità: Av atar dona all’altro da noi il privilegio principe della nostra razza, quello di dare un nome alle cose e un’identità alle persone. Sul pianeta Pandora, raggiunto nel 2124 e messo a ferro e fuoco trent’anni dopo per accaparrarsi l’energia che la Terra non ha più, siamo noi (a essere nominati) alieni, educati ed edotti da una popolazione indigena, i Na’vi, fieramente ospitale nel blu dipinto di blu. Educazione a basso, infimo consumo, che predica la fusione panica di Uomo e Natura, con un Albero Casa che fa tanto Miyazaki (Totoro), dinosauri e “mostr i” da J u ra ssic Park eco-affettivo ed echi baudelairiani: “La natura è un tempio”. Analfabeti che siamo, faremo parlare le armi, predators volanti ed esoscheletri terrestri, per carpire un’energ ia entropica, un obsoleto carbone industriale, mentre la Natura è già in rete da millenni: per arginare l’e n n e s ima, apocalittica Cavalcata delle Valchirie, ci vorrà un disabile, difettoso per la Terra e quindi permeabile da Pandora, l’ex marine paraplegico e ignorante Jake (Sam Worthington, ottimo al pari della avatar Zoë Saldana, del colonnello stolido e cattivo Stephen Lang e della “ter minale” Sigour ney Weaver), che troverà l’amore della sua maestra Neytiri (Saldana) e offrirà ai Na’vi la propria umanità, forte di un handicap mutuamente salvifico. A metamorfosi avvenuta, aprirà gli occhi, anzi, un occhio: Cameron si ferma, non va – non può – oltre. Li apriamo anche noi. Ma qualcosa è cambiato. Per sempre.

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