venerdì 13 novembre 2009

Riflessione di Simone Perotti

Riporto un'interessante riflessione dello scrittore Simone Perotti, pubblicato qualche tempo fà su "Il Fatto Quotidiano".
"Mi comportavo come un tipico esemplare della mia generazione, quella degli attuali quarantenni. Come quasi tutti i miei coetanei, cresciuti dopo la contestazione, ero un ragazzino molto normalizzato. A diciott'anni non potevamo contestare. Ci avevano già provato, ed era finita. Isola di Wight? Tutto esaurito. Ashram a Pune? Neanche un posto libero. Le comuni in Toscana? In disarmo. A me, a noi, era riservato un destino segnato: scuola, università, master, carriera. Diventavo ragazzo quando ormai il Sessantotto era concluso. Nel 1983 che volevi contestare? Ero in ritardo per il "Movimento", ero troppo giovane per la "Pantera".

Si parla sempre degli anni Settanta, delle speranze di una generazione, della frustrazione di chi aveva vent'anni allora, costretto poi a rientrare nei ranghi. Non ne posso più di sentire questa storia. Quei ragazzi hanno avuto la loro chance, cosa vogliono ancora? Quando superiamo questa specie di senso di colpa collettivo? Quanti film sulla "Meglio Gioventù", sul "Grande Sogno", dobbiamo ancora vedere? Quei ragazzi sono l'attuale classe politica. Mi esimo da qualunque commento. Cosa dovremmo dire noi, quelli venuti dopo!? Perché nessuno commisera noi, che abbiamo pagato il prezzo più alto, quello della normalizzazione, della restaurazione? Per noi è stato impossibile affrontare l'età giovanile in modo libero. Il mondo che ci è stato consegnato era quello del consumismo, dell'omologazione. Niente più rock, solo cover. E' questa l'eredità psicologica e sociale che è stata lasciata alla mia generazione. (...)

Quella dei baby-boomers, cioè la nostra, è una generazione di tecnici, gente impressionata dalle potenzialità reddituali di un corso di studi, mai guidata dalla passione, sempre dall'opportunità. Abbiamo letto poco, partorito pessimi sogni e letteratura ancora peggiore. I nostri romanzi sono per lo più storie dal valore sociologico, affreschi di una generazione in preda alle nevrosi. Quando va bene sono racconti di genere, scopiazzati qua e là. Ispettori, poliziotti, magistrati col gusto dell massacro. Tutta roba già letta, inventata da altri, riscritta. La mia generazione ha inventato lo splatter, il trash, i romanzi ispirati dalla cronaca. Una generazione di indecisi, di uomini incapaci di sostenere le responsabilità. Atei senza ateismo, single senza rifiutare la famiglia, senza figli solo per paura. Abbiamo rotto il modello sociale tradizionale solo per incapacità. Cosa c'è nelle nostre vite dopo "L'ultimo bacio"?".
Sembra un ottimo ritratto dell'attuale situazione socio-culturale italiana, che si rispecchia inevitabilmente anche nella produzione artistica (in particolare, quella cinematografica).

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